Sui freelance sentirai dire tutto e il contrario di tutto.
Ognuno ha la sua idea di cosa sia un freelance, nessuna è sufficientemente accurata da descriverli tutti perché, ve ne sarete accorti, ormai siamo tutti freelance.
Per il fisco il freelance è un ricco professionista con la tendenza ad evadere le tasse. Proprio per questo non si fida e pretende che gli paghi tutto in anticipo: l’iva, i contributi, le tasse, il loculo al cimitero.
Per l’azienda che ti fa lavorare sei un monaco della professione, un Cavaliere del Lavoro Sottopagato. Tutto quello che fai, lo dovresti fare più per passione che per denaro. D’altra parte mica pretendono che ti presenti in ufficio tutti i giorni. Perché dovrebbero pagarti 40€ all’ora, quando un dipendente gliene costa massimo 20 e per giunta si prende la briga di presentarsi ogni mattina in ufficio e per 9 ore di fila in media?
Per il tuo commercialista sei una sostanziale perdita di tempo: non guadagni abbastanza da consentire a lui di alzarti la parcella, deve fare per te tutti i lavori più pallosi senza mai la soddisfazione di un bilancio, di una redistribuzione di capitale, di un piano finanziario. Ti mollerebbe volentieri, se non fosse che gli fai pena e che poi alla fine è un freelance anche lui e in qualche modo deve sbarcare il lunario, anche grazie ai disperati come te.
Per il tuo compagno / compagna di vita sei un ectoplasma. Non sa mai se ci sei o non ci sei, non può fare affidamento né sui tuoi orari, né sul tuo stipendio e quella volta che hai cercato di spiegargli che nel tuo settore la reputation che ti puoi creare su Facebook funziona molto meglio della questua porta a porta dei possibili clienti, gli si è piantato in testa il sospetto che passi il tuo tempo a cazzeggiare sui social ed è proprio per questo che non contribuisci al bilancio familiare con lo stipendio di cui sopra.
Per tua madre e tuo padre sei una ferita aperta e sanguinante. Loro, che ti hanno pagato l’università, inclusi gli anni fuori corso, e non hanno mai ottenuto in cambio la soddisfazione di saperti “sistemato”, in modo da potere finalmente investire liquidazione e pensione in quel bilocale vista porto a Diano Marina.
Per i tuoi figli cresciuti sarai una palla al piede, ma di questo preferirei non parlare per scaramanzia.
Nella mia esperienza un freelance è un povero stronzo che non aveva alternative.
Nel giro di due dichiarazioni dei redditi, alcuni di questi poveri stronzi hanno smesso le spoglie del Clark Kent dei minimi (del quale hanno conservato giusto gli occhiali hipster) e si presentano on-line come la quintessenza del successo 2.0.
Sono giovani, carini e incredibilmente occupati.
Non hanno più un capo, alcuni non l’hanno mai avuto; non hanno colleghi con cui intrattenere conversazioni di circostanza, non hanno macchinette del caffè alle alghe d’acqua dolce e non hanno bisogno di uscire di casa per lavorare. Sono liberi e ne sono fieri. Fatturano bene o almeno così ti fanno intendere. Snocciolano progetti ed etichette professionali con la disinvoltura di chi non dovrà mai renderne conto e lo fanno in video, su You Tube.
Non aggiornano il curriculum europeo dal 2002: ma cosa te ne fai di un curriculum, quando hai una reputation on-line.
Alcuni altri di questi poveri stronzi, invece, alternano le giornate sì e le giornate no con il ritmo che è proprio degli schizofrenici e dei maniaco depressi.
Certi giorni si sentono dei giovani e promettenti Steve Jobs e, in preda ad una frenesia febbrile, svuotano la ricaricabile su Amazon neanche si preparassero ad un’evacuazione nucleare. Questi momenti di solito coincidono con l’accredito in banca dell’anticipo sul lavoro in corso (che hanno imparato a chiedere solo dopo il primo palo a 3 zeri che hanno preso), e si esauriscono entro l’accredito del saldo, che si sono già spesi per un buon 20%, e che li lascia, al netto di tasse e contributi, con pochi spiccioli con cui tirare avanti fino alla prossima commessa.
Segue il momento del down assoluto, le sere sul balcone a fumare ripetendo come un mantra “Cos’è che sbaglio? Perché loro fatturano e io no? Cosa ne sarà di me?”.
In quei momenti rimpiangono tutto: il caffè alle alghe d’acqua dolce del loro ultimo posto di lavoro dipendente, il capo umorale che però poi tornava a cercarti con una parola gentile, se aveva bisogno di qualcosa, e persino l’aliquota irpef e i contributi inps dell’ultima busta paga. Severi ma giusti, quelli lì, che pensavano al tuo futuro in un momento in cui tu del tuo futuro non ti preoccupavi granché, salvo che il venerdì sera, quando pianificavi minuziosamente le 48 ore successive.
Quello che hanno i freelance, va detto, è la libertà. Lo dice la parola stessa e non mente: liberi di mandare tutto a puttane, magari, ma anche di esplorare strade nuove, di mettersi in discussione, di fare il filo all’azienda che amiamo perché non ci lasci troppo presto in balia del mercato, oppure di mandare a quel paese la collaborazione che non funziona.
Ho letto un articolo qualche giorno fa, che descriveva lo status della nostra generazione: gente che lavora tantissimo e che guadagna niente. Io credo che la libertà più grossa che abbiamo, noi freelance di questo millennio invecchiato precocemente, è di non lavorare se non ci conviene.
Se ci pagano niente, meglio non lavorare, non fare niente, no? Meglio fare qualcosa per noi: scrivere un romanzo, fare una torta, andare a prendere i figli a scuola, trasferirsi in montagna in un paese semi abbandonato dove la vita costa poco e i tuoi vestiti vecchi di 4 stagioni non interessano a nessuno.
Io credo che dovremmo sfruttarla di più questa libertà. Io credo che dovremmo fare uno sciopero del lavoro sottopagato, e poi vediamo come tirano avanti, quelli là.
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